Giuseppe Limone - anno scolastico 2005-2006
Giuseppe Limone - 21-07-2006
Ad Alessandra Ricciardi di "ItaliaOggi", con viva cordialità

Napoli, 8.7.2006



Oggi la Scuola, di ogni ordine e grado, fino al livello universitario e post-universitario, è diventata, anche per una paradossale congiura bipartisan fra le forze politiche, un'urgenza nazionale. E' necessario, pertanto, che qualcuno abbia il coraggio di dire alcune cose scomode e inattuali.
Occorre, per essere adeguati veramente alle sfide, riuscire a far propria una vera epistemologia della complessità, pensata in modo rigoroso (si guardi, per un puro riferimento, agli scritti di Edgar Morin): un'epistemologia capace di muoversi oltre alcuni cronici vizi: il provincialismo dell'antiprovincialismo, la separazione fra i saperi e l'inconsapevolezza delle radici.
Non occorre ricordare quello che già Elio Vittorini una volta sottolineava, ossia che la cultura vera deve riuscire a superare la vecchia contrapposizione fra saperi ('umanistici' e 'scientifici') per avviarsi a una nuova articolazione, capace di realizzare un autentico salto di qualità. Ma quello che certamente Vittorini non intendeva dire, era che i saperi 'umanistici' dovessero essere accantonati per privilegiare i saperi 'scientifici'. Esistono, oggi, insieme col sapere tecnoscientifico, scienze epistemologiche e scienze dei valori. Chi se ne accorge? Eppure, una tale robusta verità dovrebbe essere lampante, sol che si riuscisse a guardare con intelligenza a due precise vicende: si pensi, da un lato, all'emergere incontenibile di discipline etico-valoriali e filosofico-epistemologiche dal seno stesso del sapere tecnico-scientifico, che ne avverte il bisogno per un'imperiosa necessità endogena (si pensi, solo per un esempio, ai saperi bioetici, alle discipline epistemologiche, ai nuovi saperi trans-disciplinari ben più che 'interdisciplinari', ai nuovi bisogni epistemologici di reciproche contaminazioni fra scienze), e si pensi, dall'altro lato, al moltiplicarsi di fatti sociali inquietanti che indicano non tanto la 'crisi di valori', ma la crisi nella domanda di valori.
La scuola sembra oggi sottoposta a un quadruplice paradossale assedio: da parte del sistema massmediatico, da parte del sistema tecnico-economico, da parte del sistema burocratico (quanto tempo inutile viene sottratto in carte al tempo della formazione e della ricerca!), da parte del sistema politico. Occorre saper reagire con intelligenza a questa sfida. Sfida che deve essere raccolta soprattutto da un altro attore, quello della società civile pensante, che deve restare il vero alimento - ma indipendente - del sistema dei partiti.
Oggi assistiamo quasi rassegnati al grave scadimento culturale in cui versano i giovani che arrivano all'università. Ciò, mentre i loro docenti sembrano di fatto destinati a una strana simbiosi fra l'autodisistima e la rassegnazione, oltre che a un accelerato burn-out. Tutto ciò non è una sciagura meteorologica. La scuola non può essere trasformata in una 'macchina di servizi': essa è un centro di formazione, di inculturazione, di educazione, destinata a rigenerare in ognuno le condizioni culturali e simboliche in cui la società è storicamente pervenuta. La presenza e invadenza del sistema massmediatico non può e non deve intimidire la scuola, né metterla sulla difensiva, ma farla partire per un più serrato confronto con esso - e al suo livello. Ma una tale scuola può agire a tale livello solo se ha le risorse adeguate per farlo (un personale altamente motivato e mezzi congrui).
La scuola, trascurata, è una bomba all'orologeria, i cui danni, devastanti, esplodono a distanza di tempo. Sicchè può ben dirsi che qualsiasi potere politico, per quanto concerne la scuola, riesce di fatto a operare in una situazione di sostanziale irresponsabilità.
Occorre, a tal fine, snidare - oggi - alcuni pericolosi equivoci, insidiosamente nascosti anche nel lessico della classe dirigente. Vediamone alcuni.
Si dice che investire nel sapere scientifico è importante perché è investire nella capacità d'innovazione del sistema e nella sua crescita (economica). Si gioca, in realtà, sul significato multiplo di 'sapere' e di 'società civile'. Dimenticando di dire che il 'sapere' è importante non solo perché, in quanto sapere tecnico-scientifico, serve a far crescere il sistema economico, incrementandone il PIL, ma anche, e forse soprattutto, perché, in quanto sapere valoriale ed epistemologico, dà strumenti critico-filosofici di fondo per orientare e dirigere la società degli uomini, le sue scienze e le sue scelte. Una scuola non deve generare solo operatori per la produzione, ma persone che pensano. La scuola non deve dare solo la competenza sui significati, ma l'educazione alla ricerca del senso. E non si parla di questo o di quel tipo di scuola, ma di qualsiasi scuola. E' la complessità della società contemporanea che l'impone. Se la scuola, con i suoi curricula concreti, non dà gli strumenti per pensare, avrà fallito il suo fine. Gli specialismi maturi non possono non mirare a una nuova frontiera, fatta di una rottura orizzontale e verticale. Rottura orizzontale, perché i saperi si aprono a nuovi nessi, che ritrasformano i saperi stessi di partenza. Rottura verticale, perché i saperi si aprono a nuove consapevolezze di orizzonte e di senso: metodologiche, epistemologiche e valoriali. Uno sfondamento orizzontale e uno sfondamento verticale che spalancano un nuovo modo di pensare - uno sguardo più profondo e più alto. Che non è più un lusso, ma una necessità.
Oserò dire, in un tale contesto, di più: la scuola deve essere una funzione e un 'potere' della Repubblica e non un 'servizio'; e - perciò - è lo Stato che deve essere al servizio della scuola e non la scuola dello Stato. Perché la scuola è un grande strumento della società civile e della sua necessità di generare uomini civili.
La scuola, insieme con un certo sistema massmediatico, sta diventando, invece, un paradossale modo per investire nell'incultura. Perché produrre silenziosamente 'incultura' è far crescere una rendita preziosa, con la quale si potrà, prima o poi, con un sol tratto di penna, cancellare ogni democrazia, o renderla un simulacro. Chi investe nell'incultura, oggi, lavora, senza lasciar tracce, per la tirannia.
Ci sono, nel nostro tempo, alcune tendenze che vanno identificate e tarate. Occorre, ad esempio, contrastare criticamente e con forza, una certa retorica dei numeri pensati come misuratori neutri. Si rende necessaria, in proposito, una critica epistemologica del 'numerare', che sappia epistemologicamente contrastare quella che forse Vico avrebbe denominato, a suo modo, la 'boria dei numeri'. L'enfasi acritica consegnata al 'sistema dei crediti' ne è un'ottima spia. Si misura tutto (anche le pagine ...) presupponendo che la misura sia oggettiva e neutra, laddove può essere angolata e faziosa, se non sviante. Non solo. Altra cosa da contrastare con forza è l'enfasi acritica attribuita a un'informatica pensata solo in senso dirigista (si dà di fatto mano libera a elaboratori di software centrali che diventano i veri sovrani)....

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